Eccoci di nuovo qui, nello spazio più creativo e intimo di questo blog. Prima di tutto, grazie per essere tornato a leggere le mie riflessioni. Per me, mettere nero su bianco i pensieri è un aiuto fondamentale per elaborarli, metabolizzare le decisioni e dare un senso alla direzione che sto prendendo. È un po' come tracciare una mappa mentre si viaggia, per non perdere la rotta.
In questo articolo voglio parlarti del mio percorso professionale e di un bivio che mi ha portato a creare anche questo blog. Tutte le esperienze fatte finora mi hanno condotto a un'unica, grande conclusione, che sto cercando di raggiungere percorrendo due strade parallele. So che può suonare "fumoso", ma ti spiego subito cosa intendo.
Crescere: l'obiettivo comune di due strade parallele
La conclusione a cui sono arrivato, il principio che guida ogni mia scelta, è racchiuso in una sola parola: crescere. Non mi piace molto l'espressione "fare carriera", perché la associo a una scalata a volte spietata, a una serie di traguardi predefiniti da altri. Preferisco "fare strada". Proprio come amo macinare chilometri in moto, non solo per la destinazione, ma per il viaggio stesso—le curve, i panorami imprevisti, la sensazione del vento—così voglio fare strada nel lavoro per crescere, prima di tutto, come persona.
Non sono uno che si accontenta, pur essendo grato per quello che ho. Sono in costante competizione con me stesso, e solo con me stesso. Forse un po' troppo, a detta della mia ragazza, ma non posso farci niente: sono ossessionato dal migliorare ogni aspetto della mia vita, dal più piccolo al più grande. Ed è per questo che ho scelto due percorsi paralleli per perseguire questo obiettivo.
Queste due strade sono concettualmente simili, ma all'atto pratico quasi opposte: il manutentore meccanico e l'architetto software.
Sì, lo so, sulla carta sembrano due mondi agli antipodi. Da una parte la meccanica industriale, un universo tangibile fatto di metallo e olio; dall'altra la programmazione, un reame astratto fatto di pura logica. Eppure, per me il nesso è lampante: entrambe le professioni richiedono una conoscenza profonda e viscerale della "macchina" su cui si lavora. Che si tratti di diagnosticare una perdita di pressione in un complesso circuito oleodinamico seguendo tubi e valvole, o di fare il debug di un'anomalia in un software multi-livello tracciando il flusso dei dati tra database, API e interfaccia utente, il processo mentale è lo stesso. Si tratta di indagare, scomporre, capire le cause e gli effetti. Adoro capire come funzionano le cose, analizzare ogni singolo passaggio. Questo è il filo rosso che le unisce.
La svolta: un'offerta di lavoro dall'estero
Oggi, il mio lavoro di manutentore mi permette di vivere con uno stipendio più che dignitoso e, di conseguenza, di percorrere la strada parallela di aspirante architetto software, che al momento non genera alcun guadagno.
Non sono venale, ma realista. A 40 anni non vivo più con la mamma, ho una casa, delle responsabilità, e la vita adulta ha i suoi costi. Per questo il mio lavoro attuale è fondamentale. Tuttavia, è un settore in cui, almeno in Italia, crescere è difficile. Spesso ci si scontra con una mentalità stagnante e poche opportunità di vera evoluzione. E qui, una settimana fa, è successo l'inaspettato. Mentre scorrevo distrattamente le notifiche, ho visto un messaggio su LinkedIn. Un recruiter mi aveva notato e mi proponeva due offerte di lavoro molto interessanti, in un paese europeo non troppo lontano.
E qui, come si suol dire, "casca l'asino". In un istante, un misto di euforia, orgoglio e pura paura mi ha travolto.
Improvvisamente, la mia mente è diventata un vortice di dubbi: l'impatto di un trasferimento sulla famiglia, su quel legame forte con le nostre radici e con le nostre madri. E poi, il mio percorso parallelo: che ne sarebbe stato di tutte quelle ore notturne dedicate al codice, di un sogno costruito con tanto impegno e dedizione? Potevo davvero mettere tutto in discussione?
Mettere nero su bianco: dubbi, sfide e prospettive
Io e Cristina abbiamo sempre parlato di trasferirci, ma erano sogni da "un giorno, forse". Questa volta, però, con un'offerta concreta a poco più di 1000 km da casa, la prospettiva è diversa, meno radicale. Ci stiamo pensando seriamente, insieme. Ne parliamo la sera, valutando i pro e i contro, supportandoci a vicenda.
Certo, c'è l'ostacolo della lingua. Il mio inglese mi permette di capire bene, ma parlo ancora con difficoltà. Questa si è trasformata subito in una nuova sfida: devo migliorare, e in fretta, per cogliere questa opportunità che non ho cercato, ma che è venuta a trovarmi. E questo, a prescindere da come andrà, mi riempie di una profonda soddisfazione.
Così, mi ritrovo a 40 anni a chiedermi di nuovo: che fare della mia vita? Ragionandoci, mi sono detto:
"Se l'offerta all'estero migliora la qualità della mia vita, perché no? E per qualità non intendo solo più soldi. Intendo più tempo, meno stress, un ambiente che valorizza le competenze. In fondo, anche lì posso portare avanti lo studio e la pratica dello sviluppo software. E chissà, magari l'unione di queste due esperienze – meccanica e informatica – può portarmi a traguardi che ora non riesco nemmeno a immaginare."
Sarebbe un grande cambiamento, ma le prospettive sono allettanti: città moderne e a misura d'uomo, una cultura del rispetto, burocrazia snella, servizi efficienti. Voglio valutare ogni singolo aspetto, dal trasloco al quartiere, fino al tempo necessario per tornare in Italia a trovare mia madre.
La mia filosofia: fare per imparare, sempre
Risolvere problemi mi dà un'enorme soddisfazione, sia su un macchinario che in una stringa di codice. Al momento, però, è la meccanica che mi dà da vivere e che mi ha aperto questa porta sull'estero. Ragionando in modo concreto, credo che seguirò questa strada, senza però abbandonare per un solo istante lo studio del software.
Se potessi tornare indietro di 20 anni, studierei molto di più. L'unica cosa di cui mi pento è non aver apprezzato l'apprendimento quando ero a scuola. Ma visto che non si può, sono qui a provare. La mia filosofia è sempre stata questa: fare per imparare. La teoria è fondamentale, ma è solo mettendoti in gioco, sporcandoti le mani, che la conoscenza si sedimenta e diventa vera competenza.
Non sono nato manutentore. La mia gavetta è stata in fabbrica, come operaio, un'esperienza che mi ha insegnato il valore del significato nel lavoro, proprio perché quel ruolo ne era privo. Ricordo il frastuono meccanico che annullava i pensieri, i gesti ripetuti fino a diventare automatici, e la nettissima sensazione di essere solo un ingranaggio, facilmente sostituibile. È stato lì che ho capito di volere di più: non volevo solo far funzionare la macchina, volevo capirla. Così ho iniziato a fare domande, a osservare i manutentori, a studiare per conto mio, fino a conquistare la possibilità di cambiare ruolo. La manutenzione mi ha dato le prime vere soddisfazioni: vedere una macchina che, grazie al tuo intervento, diventa più produttiva, silenziosa e sforna pezzi perfetti è impagabile. È la stessa, immensa soddisfazione che provo quando un software che ho creato, dopo ore di lavoro, fa esattamente ciò per cui è stato progettato.
Vivere, non subire
Un giorno sarebbe bello ricevere un compenso anche per la mia attività di sviluppatore. Ma so che l'unica certezza è che la vita non si riduce ai soldi. Vedo troppe persone intrappolate in "gabbie dorate", con ottimi stipendi ma profondamente infelici. Una professione che ti dà soddisfazione, che ti fa sentire utile e competente, ha un valore che non ha prezzo.
Fare qualcosa senza uno scopo, per me, equivale a subire la vita, non a viverla. Finché avrò forze, proverò a migliorarmi e ad assaporare ogni istante. Espormi qui, scrivendo pubblicamente i miei pensieri, è un altro modo per spingermi fuori dalla mia zona di comfort. È affrontare la paura del giudizio, mostrarsi vulnerabili. Ma fa parte della mia crescita.
Spero di averti trasmesso qualcosa di utile. Se così non fosse, pazienza, fa parte del gioco. Io, intanto, sono felice di aver continuato a tracciare la mia mappa, mettendo ordine in queste peripezie psicologiche per capirle meglio. In fondo, è lo stesso processo che applico a un circuito meccanico o a una stringa di codice: scomporre la complessità per dare forma a qualcosa di nuovo. E forse, la vita stessa non è che questo: il progetto più grande e affascinante da realizzare.
A presto,
Al prossimo articolo.